LA MONTA ALLA AMAZZONE E LA SUA EVOLUZIONE FINO A OGGI
L'ALBA DELLA DONNA GUERRIERA
L’amazzone, la "donna a cavallo" con lancia, scudo e arco di bronzo (che montava a califourchon e non all’amazzone nell’accezione moderna), materializza il fantasma culturale della misoginia greca del V secolo a. C. Dominatrice temuta e desiderata, il suo mythos è frutto di una paretimologia tradizionale che deriva dal dialetto attico-ionico la formulazione ἄ privativa e mazós, “mammella” (“senza mammella”). Nelle fonti mitografiche greche, infatti, l’amazzone montava a pelo, privata del seno destro per migliorare la velocità e la precisione del tiro dell’arco, in contrasto con l’iconografia vasale contemporanea che la raffigura sempre con due seni.
Storicamente, la “cavaliera combattente” appare nelle tribù nomadi scite e sauromate ai bordi del mar Nero. Gli scavi archeologici diretti da Jeannine Davis-Kimbal, tra Russia e Kazakhstan, hanno portato alla luce le tombe (VI-II secolo a. C.) delle «enigmatic warrior women», donne nubili sepolte con daghe e archi simili a quelli rappresentati nei reperti delle arti visive greche antiche. Davis-Kimbal ha quindi proposto un compromesso etimologico che deriva “amazzone” da un lemma proto-indoeuropeo, “quella senza marito”, in contrapposizione a due altre soluzioni etimologiche: da una tribù iraniana ha mazan, le “guerriere” o dal persiano *ha mashyai, “le popolazioni [delle steppe]”.
Dunque, la warrior-priestess sauromata e la sua storia nulla hanno a che fare con l’amazzone di oggi, ma mostra la forza del suo mythos nell’attualizzare la propria immagine, la capacità di adattare e modificare il suo riflesso attraverso i tempi e gli avvenimenti, anche in fasce sociali inattese, ma sempre con il concetto della indipendenza dall’elemento maschile, intesa non come privilegio, ma come diritto. Solo a fine '800 il termine “amazzone” s’identifica con una specifica modalità di monta a cavallo, traslando su di sé un modello di abbigliamento, una "moda" (“à l’amazone”), un "costume" per andare in bicicletta o a passeggio e anche, ma non solo, usato per montare a cavallo.
LA MONTA ALLA AMAZZONE E LA SUA EVOLUZIONE
L’inizio di questo tipo di equitazione ha fatto la sua comparsa nell'Italia degli inizi del ‘300 alla Corte di Mantova, durante le nozze sfarzose per il matrimonio di Ludovico I (Luigi) Gonzaga con Caterina Malatesta o, più probabilmente, durante il “Grand Tournoi” per il suo secondo matrimonio con Francesca Malaspina del 1340. Apriva il corteo il cavallo della sposa, un haquenée ambiante riccamente bardato (palafreno) tenuto "a mano" da un paggio. La sella, una sambue (dal francese antico “gran lusso, sontuoso”), era un adattamento del basto da soma su cui era avvitato, parallelo alla spina dorsale del cavallo, un seggiolino imbottito di paglia abbastanza ampio ricoperto di velluto e stoffe preziose, dal quale pendeva un predellino sul quale la dama appoggiava i piedi, seduta lateralmente: un congegno assolutamente inadatto ad andature diverse dal passo a mano.
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La sambue, scomoda e poco sicura, era usata solo nelle parate, mentre nella caccia a cavallo la “cavaliera” montava a califourchon (scandalo!). L’evoluzione inizia nel secolo XVI alla Corte di Francia con Caterina de’ Medici, sposa di Enrico di Valois. Bruttina e leggermente claudicante, per contrastare il potere dell’amante del marito (Diana di Poitiers), grande e impudica “cavaliera” a califourchon, fece modificare la sambue, che si era già evoluta con un pomello alto a destra per l’appoggio e una gobba al centro del sedile che consentiva una posizione più verticale e più sicura. Per seguire il marito nelle sue scorribande a cavallo (caccia alla donna o alla selvaggina, Enrico non faceva differenze), Caterina aggiunse un sostegno supplementare, una fourche o corno, che le permetteva di non scivolare a sinistra, sostituendo il predellino con una staffa-pantofola (étrier-pantoufle). Poco alla volta la posizione si raddrizza, la gamba destra della “cavaliera” si ritrovò girata nell’asse dell’incollatura, le spalle perpendicolari alla colonna del cavallo, confermando quell’indipendenza maturata con il Rinascimento, che aveva permesso alla donna di assumere anche a cavallo, degli spazi, dei ruoli sociali e politici riservati solo agli uomini.
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È a François de Garsault (Le parfait maréchal, stampato nel 1755), capitano degli Haras di Francia, che dobbiamo l’introduzione del secondo corno a destra del primo (sella en berceau), che consentì un equilibrio ben migliore. La nuova sella permetteva di tenere la gamba destra della "cavaliera" tra le due fourches, mentre la gamba sinistra rimaneva in appoggio su di una staffa tradizionale che aveva sostituito la staffa-pantofola. L'introduzione nel 1830 del "corno da salto", l’attuale corno mobile, attribuito a Jules Charles Pellier e codificato nel "vangelo" della monta all'amazzone stampato a Parigi nel 1897 (La Selle et le costume de l'amazone), opera del figlio Jules-Théodore, permise l’appoggio definitivo della gamba sinistra. Prima fisso, il nuovo corno divenne mobile avvitato all’arcione, per adattare la sua inclinazione alla gamba sinistra della “cavaliera”, consentendo così la stabilizzazione dell'assetto moderno dell’amazzone, ora a proprio agio su tutte le andature, anche nel salto. L’aggiunta di un terzo corno, che Lida Fleitmann Bloodgood definì «la dichiarazione d’indipendenza della donna» (Saddle of Queens: History of Side Saddle), costruito per inquadrare la gamba destra, fu abbandonata come l’esperimento di un quarto corno. Alla evoluzione della morfologia della sella, corrispose quello del costume, la gonna si allungò fino a coprire completamente i piedi della dama, aprendo le controversie dei puristi sulla sua lunghezza, “alla francese” o “all’inglese”.
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Grazie ai Pellier e alla centralità culturale di Parigi, la tipicità della monta all'amazzone francese non fu solo una "moda", ma uno spettacolo affascinante di magia visuale. Influenzò i Paesi anglosassoni e, attraverso loro, si diffuse in tutto il mondo. L'Italia contribuì alla sua evoluzione con l'innovazione di Federico Caprilli, all'origine della monta moderna e padre della “monta naturale”. L'esperienza italiana, coniugandosi con quella francese e inglese, mise l'amazzone in grado di affrontare tutte le discipline equestri, dal lavoro in piano al salto ostacoli, dandole quel graffio particolare d’indipendenza, un cocktail di eleganza e attualità. La mano e il busto si spostarono in avanti per assecondare il movimento del cavallo ed equilibrare meglio la rigidità della posizione imposta dal corno. L'evoluzione tecnica della sella, e quindi della monta, permisero a Esther Stace su Emu Plains, nel Sydney Royal Easter Show d’Australia del 1915, di raggiungere un'altezza di salto di 1,981 metri, record tutt'oggi imbattuto (il record maschile è del cileno Alberto Larraguibel sur Huaso nel 1949: 2,47 metri anche questo imbattuto).
Fra le amazzoni italiane del periodo post-caprilliano, si ricorda Fanny Vialardi di Sandigliano, vincitrice nel 1925 del Prix de Diane al Concours hippique international militaire di Nizza, vero primo campionato del mondo di monta all'amazzone che vide schierate le più grandi amazzoni del momento: Yvonne de la Croix (numero uno mondiale), le due sorelle de Sarlin e l’americana Vingut.
Nei profondi cambiamenti sociali e culturali che seguirono la Grande Guerra, la monta all'amazzone andò declinando soprattutto in Italia e la "cavaliera" ricominciò a montare a califourchon, come era stato ai tempi delle prime “amazzoni guerriere”. Solo negli anni ‘70 del secolo scorso la donna ha riscoperto l’eleganza e raffinatezza di questa disciplina equestre, per altro mai tramontata nei Paesi anglosassoni.
Tutti i cavalli sono adatti alla monta all'amazzone, purché avvezzi all’equilibro tra tre elementi dominanti, ma in armonia: il polso, la mano e la cravache nella mano destra, di lunghezza variabile secondo l’utilizzo (passeggiate, caccia salto ostacoli o dressage), con il compito, con lo sperone a sinistra, di sostituire l’azione della gamba destra della monta a califourchon e aiutare l’amazzone a “inquadrare” il cavallo.
Nulla è più femminile della monta all’amazzone. La donna può esprimere tutta la propria bellezza ed eleganza, sottolineando il suo portamento con il romanticismo di un costume (basta ricordare il “suivez-moi-jeune-homme” delle demi-mondaines di un tempo, ancora in uso anche se non sempre portato correttamente o il piccolo nodo dei “piqueux de vénerie” oggi dimenticato). Se montare a califourchon era, per dirla con P. A. Aubert (Équitation des dame), «à la fois disgracieux et inconvenant», la monta all’amazzone rappresenta l’esatto contrario. Un fascino unico, troppe volte offuscato da fantasie che confondono concours d’élégance con concours de beauté nel senso peggiore del termine, dove l’ipocrisia di piacere agli occhi degli altri è il frutto maldestro di nascondere l’incapacità di “vivere all’amazzone”.
Il termine “eleganza” deve essere sinonimo di “classe”, un movimento naturale e morbido capace di mantenere tutta la sua sensualità, attraverso una tecnica equestre quasi invisibilmente costruita sulla mano, frutto di un lavoro lungo e costante: il faut commencer par le commencement, l'art équestre commence par la perfection des choses simples …
Tomaso Vialardi di Sandigliano
(© 2012 )
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